sabato 8 gennaio 2011

Moratti e la Saras così si è consumato il peccato originale

Repubblica — 20 luglio 2009 pagina 9 sezione: AFFARI FINANZA

«Crediamo che Saras sia un buon titolo e che darà soddisfazioni».
Mai vaticinio finanziario si è rivelato più inesatto. Sono passati poco più di tre anni da quel 18 maggio del 2006, quando le facce dei fratelli Moratti davanti ai monitor di Piazza Affari mentre tentavano inutilmente di infondere fiducia al mercato ebbero un crollo come il grafico di Borsa della loro società al debutto a Palazzo Mezzanotte.
Meno 12% all' esordio, meno 35% nell' arco di poche settimane, fino ad approdare agli attuali 2 euro del titolo che rappresenta un meno 67% rispetto ai 6 euro con cui i titoli furono offerti ai risparmiatori.
I quali di soddisfazioni dalla società della famiglia di petrolieri milanesi ne hanno avute ben poche.
Anzi: gli unici a guadagnarci della quotazione del gruppo cui fa capo la più grande raffineria d' Europa, sono stati i Moratti e le banche d' affari che ne hanno curato la quotazione.
Per i Moratti un incasso da 1,7 miliardi di euro, frutto del collocamento del 40% della società: quasi tutti finiti direttamente nella cassaforte di famiglia, visto che soltanto il 6% della azioni offerte erano in aumento di capitale e destinate agli investimenti della Saras (che tra l' altro all' epoca aveva un indebitamento risibile).
Per le banche, commissioni per oltre 30 milioni: 16 per la Jp Morgan, 11 milioni per Morgan Stanley e 10 per Caboto (gruppo Intesa).
Cifre che sono state raggiunte anche grazie alla "supervalutazione" della società in sede di collocamento.
Almeno è quello di cui sono convinti i giudici della procura di Milano. Che già pochi mesi dopo il disastroso esordio in Borsa aveva aperto una inchiesta. E che pochi giorni fa, dopo tre anni di indagini e perizie tecniche, ha fatto recapitare a nove banchieri tra cui Federico Imbert e Galeazzo Pecori Giraldi, rispettivamente numero uno di Jp Morgan e Morgan Stanley in Italia un invito a comparire per cui sono ufficialmente indagati per «falso in prospetto» e «aggiotaggio».
Anche se a loro carico non risulta nulla di penalmente rilevante, per i fratelli Moratti il j' accuse dei magistrati riapre una ferita dolorosa.
Non tanto per le malignità di chi negli ambienti finanziari sostiene che i due fratelli non potevano non accorgersi che la loro società era stata valutata ben al di sopra dei competitor europei (tra 10 e 12 volte l' ebidta). E nemmeno per il fatto che i soldi arrivati direttamente in tasca ai Moratti siano serviti in parte per coprire da una parte gli aumenti di capitale necessari ogni anno all' Inter per le sontuose campagne acquisti (oltre 700 milioni da quando Massimo ha rilevato il club da Ernesto Pellegrini) e dall' altra per rientrare da alcuni sfortunati investimenti durante la bolla dei titoli high tech (attorno ai 500 milioni sfumati, in buona parte per aver puntato sulla famigerata Enron.
In realtà, quello che brucia ai Moratti è il fatto che i banchieri hanno di fatto utilizzato il buon nome della famiglia e il suo prestigio per convincere investitori istituzionali e piccoli risparmiatori e mettersi in fila per ottenere le azioni Saras .E far così lievitare il prezzo di collocamento fino ai 6 euro.
«È il nostro peccato originale», hanno ammesso in più di un' occasione. Che non verrà di certo cancellato da quanto si è potuto leggere negli atti della procura: «ingannato l' investitore medio», stima «gonfiata», operazione realizzata «con l' unica motivazione del verificarsi di circostanze di mercato estremamente favorevoli e ritenute non durature». Come ha scritto il consulente tecnico dei magistrati, Marco Honneger: il prospetto informativo «non ha evidenziato l' esistenza di un una considerevole componente di utili non ricorrente nei dati storici, dati unici su cui basarsi per la decisione di investimento (almeno per il pubblico indistinto).
Da qui il grande freddo tra la famiglia e i banchieri, cui sono stati negati a suo tempo i 4 milioni di bonus stabiliti per il buon andamento del collocamento in Borsa.
Nemmeno l' infortunio della quotazione di Saras, sembra però aver scalfito agli occhi dell' opinione pubblica il prestigio "milanese" della famiglia. Che, per certi versi, nella capitale economica del nord sembra contare anche di più di quella dei Berlusconi. E che non si è appannata nemmeno a fine maggio dopo l' incidente sul lavoro costato la vita a tre operai nella raffineria di Sarroch.
Sarà per il ruolo centrale che la famiglia ricopre ormai da qualche anno, mai in prima fila nei salotti, ma sempre impegnata sia in campo sociale che in politica e nello sport.
Oppure sarà per quel modo di fare, tra riservatezza non solo formale (come nel caso di Gianmarco) e disponibilità convinta (come nel caso di Massimo, di cui è noto il costume di intrattenersi con qualunque tifoso lo incontri e gli chieda di questo o quel giocatore). Oppure sarà quello che un grande cronista della milanesità come Guido Vergani definiva "il tratto" per identificare il comportamento di chi pur potendo permetterselo non ti fa mai pesare il potere e soprattutto l' ammontare del conto in banca.
Cui si aggiunge un' altra caratteristica: la copertura totale dei campi politici che se non fosse per il prestigio accumulato negli anni potrebbe anche sembrare strategicamente scientifico.
Dei due fratelli Massimo è il più noto al pubblico. Grazie alle sue avventure calcistiche, naturalmente. E dopo aver sopportato per alcune stagioni l' etichetta del "ricco e scemo" per aver inanellato una serie di interminabili sconfitte nonostante i soldi spesi, da quando ha debellato grazie all' aiuto dell' amico e socio Marco Tronchetti Provera il sistema messo in piedi da Luciano Moggi per favorire la Juventus ha riconquistato il rispetto dei più. Massimo è quello impegnato nel centrosinistra. Walter Veltroni è stato spesso ospite nella sua casa di via Bigli duecento metri da piazza Scala il quale ha tentato almeno in un paio di tornate elettorali a convincerlo a candidarsi sindaco di Milano. La moglie Milly con la quale è impegnato nel sostegno anche economico all' associazione Emergency di Gino Strada non solo è stata nominata nel comitato etico del Partito Democratico, ma siede sui banchi del consiglio comunale dove guida la battaglia di opposizione contro la cognata.
L' altro ramo della famiglia è infatti legato al centrodestra. Gianmarco Moratti è il marito di Letizia Brichetto Arnaboldi, da tre anni sindaco di Milano. È stato lui a vincere le resistenze dell' ex ministro dell' Istruzione e ex presidente Rai a diventare sindaco. Nove anni prima Silvio Berlusconi ci aveva già provato. Ed è sempre Gianmarco accanto alla moglie quasi ogni fine settimana quando prestano la loro opera di "volontariato" nonché di principale sostegno finanziario alla comunità di San Patrignano. Tra i politici del centrodestra non si nasconde la delusione per come si sia mossa fino ad ora la Moratti: scarso rapporto con i partiti, litigi continui con il governo per le nomine ai vertici dell' Expo. Uno scontro in cui la signora è risultata perdente: voleva alla presidenza il suo braccio destro Paolo Glisenti, si è ritrovato l' ex ministro Lucio Stanca. Ma non fa parte del codice della famiglia abbattersi di fronte agli infortuni.
Come dimostra la storia dei Moratti, emblema di quella Milano del miracolo economico anni ' 60. Il fondatore della Saras, Angelo patron della grande Inter degli anni di Herrera era il figlio unico di un farmacista di piazza Fontana, il quale a sua volta veniva da una famiglia della bergamasca con tredici fratelli (tutti laureati) e sette sorelle (quasi tutte suore). Angelo prende un' altra strada: da giovane vende oli e lubrificanti ai pescatori di Civitavecchia; poi grazie a un finanziamento dei Falck apre una miniera di lignite e una centrale elettrica in Umbria; è tra i primi a raffinare petrolio in Italia (in Sicilia a fine anni ' 50). Poi, la grande intuizione della raffineria di Sarroch, 25 chilometri da Cagliari. Una città più che un impianto industriale, il primo per dimensioni in Europa. Gianmarco è lo stratega, il petrolio gli corre dentro, come il padre: «So fare solo il petroliere nella vita, un altro mestiere dovrei impararlo», ha dichiarato quando gli hanno chiesto se fosse interessato a far parte della cordata di imprenditori di Alitalia. Così come gli appartiene l' intuizione di convertire parte degli impianti alla raffinazione del gasolio, prevedendo per tempo il boom di richiesta dovuto alla forte domanda in arrivo da Cina e India. E avrebbero continuato così, i Moratti. A macinare utili grazie al petrolio, a non mostrarsi nelle feste dei vip,a fare volontariato, a non farsi coinvolgere in avventure finanziarie in Italia (i soldi sono sempre stati per lo più investiti all' estero, tra Londra e New York). Se non fosse stato per la passione per l' Inter, per qualche investimento sbagliato e per la decisine in parte la necessità di quotare la Saras, che li ha portati al centro dell' arena finanziaria e a macchiarsi la reputazione.

- LUCA PAGNI

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Non à è possibile che questi "onesti" non sapessero.

Migliaia di risparmiatori truffati per ripianare il buco dell'Inter.

E questi fanno la morale a noi Juventini?

VERGOGNA!!!!!!

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